Leggi tutti i contenuti
Ieri ala, oggi professore in pensione. A fare da ponte tra due professioni così lontane ma così vicine in Robert Morse, la passione per la pallacanestro e l’Italia. Quella di Bob è una storia di struggente umanità, è una storia che varca i confini dello sport per abbracciare quelli della vita, perchè in questo racconto la palla a spicchi ha sì un ruolo importante, ma fa parte di un qualcosa di più grande. Fa parte, ma non è tutto, di un americano trapiantato a Varese, innamorato pazzo del nostro paese, verso il quale si sente riconoscente per avergli regalato tanto.
Borse Morse: due vite in una
Bob Morse non è uno qualunque, e non solo per il talento innato che lo ha visto grandissimo cestista, ma anche perchè è uno dei pochi che ha avuto la grande fortuna di vivere due vite in una e di viverle bene, certo con punti di contatto tra una e l’altra ma entrambe appartenenti a sfere ben distinte. In realtà, sul numero di vite ci si potrebbe mettere a discutere: ha fatto anche molto altro, oltre al professore, dopo aver lasciato la pallacanestro giocata. Oggi Bob si gode la pensione ed i nipoti in una casa dell’Oregon, che ogni tanto lascia per fare un salto dalle nostre parti, cosa sempre emozionante per lui, che l’amore trasmesso dall’Italia e all’Italia prova a farlo rivivere nelle sue lezioni private da professore d’italiano.
Una storia di vita e sport
Prima di tutto questo, però, c’è una carriera favolosa sotto canestro. Bob nasce il 4 gennaio 1951 a Filadelfia, in Pennsylvania, ed è nello stato di nascita che muove i primi passi nel basket. Fa quattro anni nei Penn Quakers, la squadra universitaria, poi nel 1972 arriva la chiamata di Varese, all’epoca al vertice della pallacanestro europea. Bob dice subito sì ed è la scelta che gli cambia la vita: la città è pronta a prendere in braccio questo biondo di 21 anni e più in generale l’Italia intera, dove Bob porta anche il suo cuore.
Da qui comincia una storia di vita e sport bella, intensa e ripetibile per pochi. Bob si sente adottato dalla nuova nazionale di residenza, mentre nel basket la sua carriera spicca subito il volo, perchè Varese è il posto giusto per tramutare in realtà sogni ed ambizioni: l’americano giocherà dal 1972 al 1981 in una delle squadre più forti di sempre (l’unica a raggiungere la finale di Coppa dei Campioni, oggi Eurolega, per ben dieci volte consecutive, portando a casa la coppa per cinque volte in questo lasso di tempo), spinta in panchina da Aza Nikolic prima e da Sandro Gamba poi e resa grande in campo, oltre che dallo stesso Morse, anche da campioni come Meneghin, Ossola, Bisson ed altri ancora. Con i biancorossi, Morse alza al cielo quattro scudetti, tre Coppe dei Campioni, una Coppa Italia, una Coppa delle Coppe ed una Coppa Intercontinentale. Bob saluterà al termine della stagione 1980-81, ma senza sbattere la porta, perchè i rapporti con Varese resteranno ottimi per sempre, tanto che la città gli conferirà la cittadinanza onoraria.
Per Bob però la carriera non è ancora finita: fa un’esperienza in Francia, ad Antibes, dove gioca tre anni senza però portare a casa titoli. La carriera sembra volgere al termine, ma entra in scena Enrico Prandi, presidente della Reggiana; Prandi viene a sapere che Morse è in vacanza a Taormina, così di nascosto prenota la camera accanto a quella dell’americano: se ne tornerà a casa con una bella insolazione ma con la firma di Bob, che a Reggio Emilia vivrà così gli ultimi due anni della carriera, senza risultati di grido ma dando vita ad un’altra bella esperienza umana. Infatti, oggi a Reggio Emilia Bob resta un mito.
Bob Morse e i cambiamenti
Così comincia un’altra fase della sua esistenza, quella dei cambiamenti, quella del sapersi “riciclare”, quella di saper riavvolgere il nastro e di ripartire, sempre con slancio ed entusiasmo, mentre a mano a mano la chioma bionda lascia spazio alla calvizia di oggi: il tempo passa e tutti, in fondo, siamo uguali, campioni e comuni mortali.
Inizialmente Bob resta nel basket, prima come scout in Europa per squadre degli Stati Uniti quindi come commentatore NBA a Roma. Quando l’addio al basket è definitivo, il primo impiego è quello del commerciante, vendendo cristalli, porcellane e argenteria. C’è però il suo lato italiano che lo chiama, così si mette a dare lezioni serali della nostra lingua, il tutto mentre, per non farsi mancare proprio niente, consegue un Master in Business in una università della Virginia. Gli si aprono le porte di una società di informatica, ma l’italiano che è in lui spinge sempre più per uscire e Bob non può trattenerlo: così, a 50 anni, si mette a studiare di nuovo e consegue la terza laurea della sua vita (la prima fu da ragazzo in biologia), un Master in italiano con tesi sul racconto, in particolare quello di Piero Chiara. Arriva dunque la chiamata del college di St. Mary, nell’Indiana, per insegnare lingua e letteratura italiana, occasione che Bob coglie al volo per dare un’ulteriore sussulto alla sua vita. E’ il 2007, e ci vorranno nove anni per farlo smettere, quando, nel 2016, decide che è ora di fermarsi e va in pensione.
Il Bob di oggi
Ma credete davvero che Bob sia il classico pensionato che si inchioda tutto il giorno davanti alla tv e non esce più di casa? Assolutamente no: oggi coltiva il suo giardino, insegna italiano una volta a settimana in una scuola serale, organizza gruppi di turismo sportivo in Italia, prende parte ad iniziative della chiesa luterana, aiuta la figlia nella sua attività agricola, si dà da fare per la sostenibilità ambientale. “E’ la mentalità americana, quella di cambiare sempre e reinventarsi, è molto diversa da quella italiana“, ha detto una volta. Una mentalità americana, certo, in cui ogni cosa però è portata avanti con la passione che ha saputo apprezzare e far sua qui in Italia.