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Prima di parlare di allenatori, del loro ruolo, e della loro rilevanza nella crescita,  non solo tecnica, degli atleti vorrei fare una riflessione.

Il basket di ieri e di oggi

Avendo attraversato tutte le fasi che hanno caratterizzato lo sviluppo del nostro movimento sportivo: dagli scomodi campi quasi tutti esclusivamente all’aperto, alle calde palestre e ai grandi palazzi dello sport di oggi,  ho avuto modo di osservare  quanto profondamente sia modificata, sul piano sociologico-sportivo, la società nel suo modo di concepire e relazionarsi allo sport e dunque anche al basket.

Il basket di metà anni 60, quando ho iniziato a conoscere questa disciplina, iniziava a confrontarsi, grazie alle Olimpiadi di Roma del 1960, con l’America  e con un’idea di sport che assai poco somigliava a quello italiano.  L’America possedeva atleti fisicamente e tecnicamente fortissimi. Avevano a disposizione metodologie di allenamenti all’avanguardia, possibilità economiche importanti e impianti di gioco stratosferici!

Ricordo ancora le emozioni che provai quando, a 17 anni, andai per la prima volta  a giocare alla base americana di Camp Derby a Tirrenia (LI). La prima cosa che notai entrando in palestra, fu il numero dei palloni a disposizione: un pallone a testa. Quando, la Società in cui giocavo, metteva a disposizione 5 o 6 palloni per l’intera squadra. Al posto del cemento del mio campo da gioco all’aperto, c’era un parquet lucente che rifletteva le sagome degli atleti, così rapidi ed intensi da sembrare che fossero in sei in campo.

Nell’Italia di quegli anni il basket era vissuto ancora come un qualcosa da scoprire. Gli allenatori, quasi tutti ex giocatori ci insegnavano quello che, a suo tempo, avevano appreso quando loro erano stati giocatori e l’”educazione” sportiva era basata su regole ben precise e molto buon senso.

A parte alcune importanti realtà che partecipavano al campionato di Serie A, gli spettatori non erano molti e i genitori che andavano a vedere il proprio figlio/ figlia giocare, rimanevano per lo più in silenzio cercando di capire quelle strane regole che coordinavano i 10 atleti in campo!

Io e miei compagni giocavamo a basket e ci frequentavamo molto anche fuori dal campo creando  una sorta di fratellanza umana e sportiva che costruiva e cementava il gruppo. Questo era il clima che si respirava all’interno della società sportiva, e credo di  essere stato molto fortunato ad avere avuto la possibilità di crescere fin da adolescente, non solo sul piano sportivo ma globalmente come individuo, con i miei allenatori che, sicuramente meno preparati tecnicamente rispetto a quelli attuali, riuscivano comunque a creare una dimensione di comunanza e di partecipazione diretta e appassionata.

Il vero significato di educare

A tutti loro devo molto per quello che mi hanno donato, ma uno in particolare, FabrizioM. Allenatore e professore di lettere, mi ha insegnato qualcosa che non ho mai dimenticato: il vero significato della parola educare, dal latino ex-ducere ossia “tirar fuori”.

Il principale impegno di noi allenatori è proprio questo: tirare fuori, lasciare emergere ed esaltare quello che c’è di meglio in ognuno dei nostri atleti ascoltando e confrontandosi con loro,  e vi assicuro che ne guadagna anche la performance!

E se questo è vero anche ai massimi livelli, lo è ancora di più per gli allenatori che lavorano all’interno di settori giovanili che si trovano a contatto con giovani atleti in continua formazione.

L’allenatore/istruttore ha il compito di aiutare il ragazzo/a fare proprio, a portare nella propria vita quello che “dovrebbe” imparare durante lo svolgimento dell’attività sportiva ossia : saper gestire le emozioni, aiutare chi è in difficoltà, ragionare e riflettere, aumentare la propria autostima, gestire vittoria e sconfitta con equilibrio.

“L’allenatore è al servizio della squadra”

Nei corsi di formazione con gli allenatori, in particolar modo con quelli di settori giovanili,  introduco il mio intervento ricordando che “L’allenatore è al servizio della squadra”.

In buona sostanza voglio dire che è necessario riconoscere e accogliere la peculiarità di  ogni atleta, comunque  unico ed irripetibile e noi allenatori, nel far crescere la squadra come gruppo, dobbiamo essere capaci di trasmettere non solo nozioni tecniche e tattiche, ma essere educatori capaci di accogliere le istanze dei ragazzi.

Dobbiamo imparare a riconoscere le molteplici problematiche che i nostri atleti sperimentano,soprattutto in una società civile dove le cose cambiano velocemente, dove la competitività è all’ordine del giorno e la scuola e la famiglia hanno difficoltà educative che prima non avevano.  Il nostro intervento, in quanto allenatori, può diventare veramente importante tenendo sempre presente la forma fondamentale di ogni intervento formativo, ossia l’esempio che diamo ai ragazzi con il nostro linguaggio e il nostro comportamento.

Se insegno il rispetto e, badate bene, non stò parlando di proteste. Se offendo l’arbitro i miei atleti si sentiranno in diritto di farlo a loro volta!

Se un mio giocatore fa un brutto fallo e lo tengo in campo facendo finta di nulla, tutti si sentiranno autorizzati a seguire il suo esempio.

Se dopo una sconfitta non rimango equilibrato, i miei atleti avranno un alibi a cui aggrapparsi.

Teniamo sempre presente che non esistono ragazzi difficili. Hanno solo una mappa della realtà diversa dalla nostra ed nostro dovere in quanto adulti di riferimento provare a conoscerla e iniziare a comunicare con loro senza pregiudizi!

Non sempre è facile e non sempre si ottengono risultati, ma è un nostro compito: “questo ragazzo  non c’è con la testa,  è sempre polemico,  non rispetta le regole…” Quante volte lo sentiamo dire! E se fossimo noi, e non lui il responsabile?

Non è detto che sapremo interpretare sempre i messaggi che i ragazzi ci inviano ma, in ogni caso, dovremmo continuare a provarci. Potremmo avere delle sorprese piacevoli e, visto che noi allenatori teniamo tanto ai miglioramenti tecnici, ricordatevi che questo agire migliora anche la tecnica perché aumenta l’autostima!

E poi un invito agli allenatori, soprattutto a quelli che iniziano. Non siate mai sazi, non accontentatevi solo di insegnare uno schema o preparare il più efficace esercizio difensivo, ma imparate a leggere le motivazioni e le richieste di aiuto da parte del giovane atleta e provate sempre a pensare che cosa c’è dietro un comportamento, e provate a condividerlo con lui!

Non potete (e non è corretto) sostituirsi alla famiglia, alla scuola, a specialisti di vario genere; ma sappiate che per molti ragazzi voi siete un idolo , un maestro di vita e una persona sulla quale possono contare!

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Paolo Petruzzelli
Paolo Petruzzelli Allenatore nazionale di basket Pedagogista sportivo Master in PNL (Programmazione Neuro-Linguistica) Professional Counselor nella relazione d'aiuto Da oltre 10 anni, dopo una lunga carriera da allenatore, mi occupo di formazione e coaching sportivo, collaborando con squadre di basket, volley, calcio e con la federazione provinciale di Pisa di volley. organizzando corsi di perfezionamento per allenatori dirigenti e genitori. Svolgo inoltre sessioni di coaching personalizzate per atleti di sport individuali. Insieme al trainer di Programmazione Neuro-Linguistica Carlo Raffaelli tengo il corso "Coaching della Performance-Allenamento mentale per lo sport" tel. 338 83 55 726 mail: flipperdiegisto@libero.it

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