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Earvin “Magic” Johnson non è stato soltanto un giocatore di basket, ma anche grande protagonista di una stagione fantastica per la storia della mitica NBA, quella della grande rivalità tra i Los Angeles Lakers ed i Boston Celtics, due squadre che rappresentavano due diversi, opposti, modi di essere americano, quello tutto bollicine dei “lacustri” e quello fatto di sudore e lavoro dei verdi del Massachusetts.

Di questa grande rivalità il protagonista principale fu sicuramente “Magic”, il cui modo di giocare, unito ad una straripante empatia, lo ha reso un’icona planetaria, non solo a livello cestistico, ed un punto cardinale nella storiografia del basket.

Sull’onda lunga del successo ottenuto da “The Last Dance”, la docuserie più vista nella storia, Apple ha realizzato un lungo documentario che attraversa, in quattro puntate dalla durata di circa un’ora ciascuna, la vita della superstar, “They call me Magic

Due Presidenti

A raccontare di quanto il numero 32 abbia segnato un’epoca, il fatto che nel documentario, tra i vari intervistati, compaiono anche due ex presidenti degli Stati Uniti, Barack Obama e Bill Clinton. Particolare che la dice lunga su quanto “Magic” sia stato più di un giocatore, ancorché dalle abilità straordinarie, e la sua notorietà e fama siano andate ben oltre le prodezze regalate sul parquet, fino ad impattare profondamente la cultura a stelle e strisce, ma più in generale del mondo occidentale, del tempo.

La gioia

Se vi aspettate scariche di adrenalina, come ad esempio è accaduto in “The Last Dance”, allora sarete delusi dal prodotto, ma se vi approcciate alla miniserie nel modo giusto, quello di conoscere Magic cestista e Magic uomo, allora non rimarrete sicuramente delusi. Nonostante non proponga nulla di nuovo, peraltro cosa praticamente impossibile da fare, visto che anche in passato il personaggio è stato ampiamente sviscerato, con libri e video, l’opera è ampiamente godibile, soprattutto per il tono rilassato e gioioso, in piena sintonia con quello che era il modo di essere degli anni 80, dei Lakers in generale e di “Magic” in particolare.

Un modo di vivere ben raccontato anche dal modo in cui incensava i propri avversari – splendido il tributo concesso a Larry Bird nel primo episodio – nonostante un agonismo ed una voglia di vincere fuori dal comune.

Il Magic giocatore

Qualche critica alla struttura dell’opera la merita il racconto di “Magic” playmaker; nella rivisitazione del percorso sul parquet, mancano, o sono sottaciuti, aspetti fondamentali della carriera di Johnson, basti pensare allo scarno spazio dedicato alla rivalità con i Detroit Pistons di fine anni ’80, affrontati dai Lakers, con alterne fortune, in due finali. Lo stesso vale anche per il rapporto con il suo miglior amico di allora, quell’Isiah Thomas che dei “Bad Boys” della “Motown” era il superbo playmaker.

Di fatto, la carriera sul parquet di Magic è quasi tutta incentrata sulla eterna rivalità con i Boston Celtics e Larry Bird, tralasciando alcuni passaggi significativi.

Il Magic uomo

Molto migliore, e per certi versi anche più appassionante, il documentario diventa quando racconta senza veli l’uomo Magic. La star non è dipinta su un piedistallo, senza peccati ed errori, bensì ne vengono messi a nudo le debolezze e gli errori fatti nel corso della vita, soprattutto nei confronti della moglie Cookie.

La serie sottolinea quanto Magic, partendo proprio da questi errori, una volta ricevuta la notizia della positività all’HIV, abbia usato il suo appeal mediatico per sensibilizzare l’intera società americana sulle sue storture: dai problemi legati alla diffusione dall’HIV, al razzismo ed alle enormi differenze economiche e culturali. Problemi che, da sempre, Magic affronta nel tentativo di risolverli.

Ne esce un identikit che affascina, permea di emozioni anche più di quanto faceva sul parquet, rendendo Magic un personaggio a tutto tondo, uno dei pochi capaci di vincere non solo con una palla a spicchi in mano ma anche nell’infinitamente più complessa vita reale.

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