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Dino Meneghin, alias “SuperDino”, è sicuramente l’uomo simbolo della nostra pallacanestro, l’icona vivente del movimento tricolore, il personaggio che, con le sue gesta, è riuscito ad avvicinare milioni di appassionati al mondo della palla spicchi.

Del resto, stiamo parlando di un giocatore che ha attraversato, da vincente come nessun altro, il nostro basket, appendendo le scarpette al classico chiodo addirittura alla bellezza di 44 anni. Una veneranda età che gli ha permesso, pensa te, di giocare contro suo figlio Andrea.

Un palmares infinito

Servirebbe un libro per raccontare le gesta di Meneghin, sul parquet e fuori, ma per far capire la portata del personaggio alle nuove generazioni basta scorrere il suo infinito palmares; in patria vanta la bellezza di 12 titoli nazionali, conquistati con due epiche squadre che hanno segnato la storia del basket tricolore, Varese (7) e l’Olimpia Milano (5), e 6 Coppa Italia. Straordinari anche i successi fuori dai patri confini: 7 Coppe dei Campioni, 3 Intercontinentali, 2 Coppa delle Coppe ed una Korac.

Da urlo pure il cammino in azzurro, 272 presenze, secondo soltanto ad un altro grande del nostro basket come “Pierlo” Marzorati, con 2845 punti realizzati, il migliore dopo Antonello Riva, e quattro partecipazioni alle Olimpiadi, nobilitate dalla medaglia d’argento a Mosca 1980, al quale si aggiunge il titolo di Campione d’Europa nel 1980. Un palmares sterminato che la dice lunga su un cestista tra i migliori mai visti in Europa, tanto che la rivista Giganti del Basket, nel 1991, lo elesse miglior giocatore europeo di tutti i tempi.

Il film

Una storia che tanto assomiglia ad una leggenda e tocca anche la mitica NBA, all’epoca molto più lontana di quanto appare adesso, con tantissimi giocatori europei che calcano i dorati palcoscenici d’oltre Oceano. Dino fu infatti il primo italiano a essere scelto dalla NBA, nel 1970, quando fu chiamato, all’undicesimo giro, dagli Atlanta Hawks. A tratteggiarne la storia, colmando un vuoto incredibile per un personaggio del genere, ci ha pensato il regista Samuele Rossi che ha confezionato un emozionante docufilm che ripercorre passo dopo passo il trascorso di “Super Dino”, dagli esordi a Varese fino all’incredibile ultimo ciak, la sfida con il figlio Andrea.

Ne è nato un bellissimo prodotto “Dino Meneghin – Storia di una leggenda” che impersonifica alla perfezione il centro varesino, implacabile, a volte anche cattivo, sul parquet ma nello stesso tempo simpatico e divertente fuori dal campo.

Una storia emozionante

Prodotto da Solaria Film ed Echivisivi, in collaborazione con Rai Documentari, il film, dalla durata di 52’, trasporta lo spettatore nei bei tempi andati della nostra pallacanestro, quelli in cui, dagli anni ’70 ai ’90, era al vertice in Europa. Il regista Samuele Rossi riesce, anche riprendendo immagini rimaste per decenni inutilizzate, a coinvolgere lo spettatore utilizzando la carriera di Dino Meneghin, arrivato ai massimi palcoscenici del Vecchio Continente partendo dai campetti della natia Alano di Piave, come grimaldello per trasportare chi guarda in un mondo favoloso, ma reale, nel quale la palla a spicchi tricolore dominava in Europa, e non soltanto con una squadra sola; oltra a Varese e Milano, andavano per la maggiore anche Cantù e la Virtus Bologna.

I successi, le scelte

Il fulcro del docufilm, la cui voce narrante è proprio di Dino Meneghin, è l’annata 1986/87, quella in cui Milano vince tutto, attorno alla quale si snodano i tanti successi e le poche delusioni di “Super Dino”, in primis la finale di Grenoble persa contro Cantù, la partita dice Meneghin che “più mi piacerebbe poter rigiocare”.

Il film racconta anche ciò che accade fuori dal parquet, con la scelta di lasciare Varese per passare agli acerrimi rivali dell’Olimpia Milano o quella di dire “grazie, non fumo” ai mitici New York Knicks che lo pressavano per portarlo nella mitica NBA, complice uno dei tanti infortuni, stavolta al ginocchio, della sua carriera. Un cruccio, quello di non aver oltrepassato l’oceano, che Meneghin si porterà sempre dentro, tanto da affermare, scherzando, che nella NBA giocherà nella prossima vita.

Il tutto passando dai filmati del tempo, rigorosamente in analogico, a video in HD, seguendo in questo il canovaccio che tanto successo ha avuto con le patinate serie “WInning Time” o “Last Dance”. A comprendere meglio il percorso, come uomo e come atleta, le interviste a persone che lo hanno accompagnato in questo splendido tragitto, siano essi avversari, giornalisti o familiari, in primis il figlio Andrea e la moglie Caterina, ma anche coach Dan Peterson ed il mitico massaggiatore di Varese, Sandro Galleani. Il tutto sapientemente mixato dalla regia di Daniele Rossi, per un prodotto che, quando termina, ti lascia con l’amaro in bocca e nella testa il pensiero “Accipicchia, è già finito”.

La Rai

Prima di chiudere due parole le merita “Mamma RAI”; la TV di stato è spesso criticata, per mille, e spesso giustificati, motivi ma stavolta si merita un plauso dagli amanti del basket; l’emittente di Stato, con la messa in onda di “Dino Meneghin – Storia di una leggenda” è riuscita a valorizzare in modo straordinario il passato della nostra pallacanestro, sulla falsariga di quanto fatto poche settimane fa con la messa in onda di “Scugnizzi”, il docufilm in sei puntate che ha ripercorso l’epopea della Juve Caserta di Oscar Schmidt, Nando Gentile ed Enzino Esposito; “Chapeau Rai” da parte di tutti gli appassionati di basket.

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