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Ai più giovani la parola TV Koper-Telecapodistria risulterà sconosciuta, mentre in quelli che ormai sono entrati negli “anta” suonerà dolce come il miele. Infatti, è grazie a questa emittente slovena, nata nel 1971 e tuttora in vita, che gli appassionati di basket hanno avuto la fortuna di entrare in contatto con il formidabile basket “slavo”, fatto di talenti incredibili.

A narrare le gesta di Delibasic, Kicanovic, Cosic e poi del fenomeno Drazen Petrovic era un triestino di padre sloveno, dal linguaggio asciutto e forbito, Sergio Tavčar. Furono le immagini di Koper-Capodistria e le parole di Sergio a far entrare nelle nostre case i mitici campioni dell’ex Jugoslavia.

Un excursus lungo più della Jugoslavia

Miti e idoli della nostra infanzia, quando l’NBA si cominciava a vedere al massimo una volta a settimana, rigorosamente in differita, che il giornalista triestino fa rivivere nel suo splendido “L’uomo che raccontava il basket”, edito dalla casa editrice Bottega Errante Edizioni (BEE). L’opera è la perfetta rappresentazione del basket della Jugoslavia, continuato anche dopo la tragica disgregazione di quel paese. Tavčar nelle 304 pagine del libro riesce ad intrecciare tre storie in una: quella principale racconta della pallacanestro jugoslava, con le parole di chi l’ha seguita per una vita prima per passione e poi professione, ad essa si intrecciano quella del popolo, o meglio dei popoli, jugoslavi, raccontati per aneddoti, senza alcuna velleità storiografica e quella personale dell’autore.

Lo stile

Sergio Tavčar nel libro adotta uno stile essenziale e tagliente, un po’ come erano le sue telecronache, sempre lontano dal politically correct, sempre nell’ottica delle verità e di una schiettezza spinta alla massima potenza. E, come dice Gigi Riva, l’autore della prefazione, è questa schiettezza che seduce il lettore. Sicuramente attrae chi quei tempi li ha vissuti; leggere di idoli assoluti, molti dei quali poi calati in Italia come Cosic, Slavnic, Solman, Dalipagic, Kicianovic è come fare un salto indietro nel tempo, quando, imberbe ragazzino, smanettavi sulla manopola del televisore di casa – i telecomandi erano di là da venire – per sintonizzarsi su Koper. E quando la trovavi e magari trasmetteva le partite, per dire, della Jugoplastika, del Partizan, della Stella Rossa, del Cibona o del Sibenik di Drazen Petrovic, era festa grande.

I pareri

Nel libro, come nella vita e nelle sue innumerevoli telecronache, Tavčar si sbilancia, lo fa, ad esempio, indicando Krešimir Ćosić, visto in Italia con la bianconera casacca della Virtus Bologna, quale miglior giocatore all time del basket jugoslavo. Una convinzione tranchant, che non ammette dubbi di sorta, basta leggere le righe al riguardo:

Affermo categoricamente che Krešimir Ćosić fu di gran lunga il più grande giocatore che il basket jugoslavo abbia prodotto e che tale rimarrà per sempre, se non altro perché i tempi in cui si affermò sono assolutamente irripetibili”.

Tempi resi irripetibili, appunto, dall’enorme numero di talenti usciti da quel paese, senza limitarsi agli iconici Korac, Kicanovic, visto a miracol mostrare a Pesaro, Delibasic, in Italia a Caserta, e Drazen Dalipagic, un’autentica macchina da canestri a Venezia, uno che, per capire, contro la Virtus Bologna, ne mise 70 (set-tan-ta !!!), senza l’ausilio dei canestri da tre punti. Volete qualche altro nome? Knego, Jerkov, Skroce, Vilfan, Avdija, Ziziz, Radovanovic, Cutura, Perasovic, Paspalj e molti altri. Tutti giocatori che, al giorno d’oggi, militerebbero senza alcun dubbio nella mitica NBA.

NBA, no grazie

Un campionato, quello tutto lustrini e paillettes d’oltreoceano, che non piace all’autore; lo definisce, con tono divertente ed ironico, un amore mai sbocciato, ed è anche capibile che un telecronista cresciuto commentando le partite in palazzetti di fuoco, nelle quali l’imperativo era una sorta di “vincere o morire”, mal si adatti alla platinate arene americane, nelle quali la partita diventa quasi il contorno di uno spettacolo bello sì, ma sicuramente lontano anni luce da quanto accadeva in Jugoslavia. Tavčar affronta il tema con ironia, la stessa ironia sempre presente nell’opera, che spesso strappa sorrisi, regalati dagli aneddoti raccontato dallo scrittore triestino.

Una lunga telecronaca

Sostanzialmente, il libro è una lunga telecronaca, scritta con lo stesso stile con il quale Tavčar dispensava le sue telecronache, che non può mancare nella biblioteca non solo degli amanti del basket slavo, quello tutto basato sul talento più che sulle alchimie tattiche, ma anche di tutti i lettori che vogliono comprendere meglio quell’universo di popoli a noi vicini ma che spesso noi italiani non siamo riusciti, o non ci siamo sforzarti per farlo, a capire completamente.

L’autore

Nato a Trieste il 26 gennaio del 1950, Sergio Tavčar fin dal 1971 ha lavorato come telecronista sportivo a Telecapodistria. Conosciuto in tutta Italia già negli anni Settanta grazie alla diffusione di Telecapodistria, acquisì una ancora maggiore popolarità durante gli anni Ottanta, quando assieme a Dan Peterson formò una indimenticabile coppia di commentatori, amata come nessun altra dagli appassionati di basket.

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