Bill Russell

Ci sono i grandi giocatori, ci sono i campioni, ci sono i fuoriclasse. E poi c’è Bill Russell. Uno che fuoriclasse lo fu di sicuro, ma ridurlo all’area del parquet sarebbe fargli un torto per tutto quello che ha fatto nella sua vita. Una vita passata nel basket, ma non per il basket. Bensì, per la gente. La sua, gente. Quella che aveva la pelle del suo stesso colore, quella che ha dovuto attraversare decenni di ingiustizie, senza necessariamente essere arrivata fino in fondo, perché la battaglia continua.

In fuga dalla Lousiana

Bill Russell è stato un gigante, dentro ma soprattutto fuori dal campo. Giocatore immenso, ma uomo ancor più sopraffino per tutte le sue lotte sociali, la sua battaglia contro ingiustizie che sentiva sulla propria pelle. Su quella pelle liscia e morbida che aveva da bambino, ma che subito sperimentò la brutta piaga di un razzismo pungente e mortificante. Se ne andò presto da casa sua, Monroe, in Louisiana, dove era nato nel 1934, fuggito con la famiglia in California, un ambiente un po’ più tollerante, almeno per le usanze di allora. Per non pensarci (ma era davvero così?) giocava a pallacanestro, quello che diventerà lo sport della sua vita, una disciplina che ha vissuto un prima ed un dopo Bill Russell. Ma andiamo con ordine.

Che Olimpiade

Gli anni di formazione Bill li passò ad Oakland, ed arrivato all’università per lui fu scontato prendere parte al torneo collegiale. Lasciò il segno da subito: due NCAA vinte, una nel 1955 ed una l’anno successivo, che coincideva con l’anno delle Olimpiadi di Melbourne. Avrebbe avuto tutto per sbarcare subito in NBA, ma il giovane Russell declinò l’invito: voleva giocare le Olimpiadi. All’epoca non erano accettati i professionisti, ecco perché ritardò di un anno il suo sbarco nel mondo NBA. Bill aveva fatto bene i suoi calcoli: e così, divenne capitano di una delle squadre più dominanti mai viste all’opera ai Giochi Olimpici. Gli Usa di Melbourne 1956, più che una squadra, erano uno schiacciasassi: inutile dire che non ce ne fu per nessuno. Presero a sberle chiunque nei due gironi con una media punti prossima ai 100, in semifinale disintegrarono l’Uruguay (101-38) e lasciarono poche speranze anche all’URSS, che in finale dovette arrendersi 89-55. I numeri di quella medaglia d’oro furono da libri di mitologia: 8 vittorie su 8, 792 punti messi a segno contro i soli 365 subiti. Per Bill, i punti messi dentro furono 113.

Il Draft 1956 cambia la storia

A cambiare la vita di Bill Russell fu il Draft del 1956. A volerlo a tutti i costi, Arnold Jacob Auerbach, per tutti Red, allenatore dei Boston Celtics. Red ebbe fiuto e si mosse perfettamente: intuì che i Rochester Royals, i primi a scegliere, non avrebbero puntato su Bill, per cui andò dai secondi nella lista delle chiamate, i St. Louis Hakws, e trattò: lo avrebbe scelto loro, mettendolo per così dire “al sicuro“, per poi girarlo ai Celtics, che avrebbero dato agli Hawks Hagan e Macauley in cambio proprio di Russell. Fu un affare per tutti: Red, Celtics e Bill. Il quale, all’inizio, non fu minimamente voluto, con accuse anche pesanti dagli spalti. Era una città ancora molto razzista, Boston, e non fu mai amore vero verso quella stessa città in cui, sportivamente parlando, scrisse la storia:

Giocavo per i Boston Celtics, la società, e per i Boston Celtics, i miei compagni di squadra. Non giocavo per la città o per i tifosi“.

Che epopea

Quello che venne dopo, è stato assolutamente consegnato ai libri della leggenda sportiva. Nacque “La Dinastia“, un dominio raramente contrastato che vide i Celtics sul tetto d’America per ben 11 volte in 13 stagioni. Il primo anello arrivò subito al primo colpo, nella stagione 1956-57, con la vittoria in gara-7, guarda tu il destino, proprio contro gli Hawks. quelli stessi Hawks che si presero la rivincita nella stagione successiva, chiudendo la serie già in gara-6 sul 4-2. Quella fu l’ultima sconfitta per i Celtics fino al 1966, dal momento che aprirono una vera e propria dittatura: la squadra di Boston infilò ben otto titoli consecutivi, un record incredibile che non solo in NBA, ma addirittura nell’intero sport americano nessuno è mai riuscito ad eguagliare. La striscia si chiuse nel 1967 quando, per la prima volta dopo 10 anni, i Celtcis non raggiunsero la finale che assegnava il titolo. La gloria però non era finita, perché sarebbero arrivati altri due anelli al termine dei due campionati successivi, permettendo a Russell di salire a 11 titoli NBA vinti: nessuno ne ha mai vinti tanti quanto lui. Da aggiungere che gli ultimi due titoli Bill li vinse da allenatore-giocatore, divenendo il primo afroamericano a guidare una squadra nei campionati degli Stati Uniti. Fu lo stesso Auerbach a nominarlo suo successore, e Bill raccolse con dedizione e responsabilità il testimone al termine della stagione 1965-66; un anno di rodaggio fu sufficiente per portare a casa altri due anelli. Da allenatore poi visse una seconda parte di carriera agonistica anche con i Seattle Supersonics (1973-77) e con i Sacramento Kings (1987 e 1988), ma senza vincere il titolo.

Cosa ha rappresentato Bill

Abbiamo detto che c’è stata una pallacanestro pre Bill Russell ed una post Bill Russell. Tale spartiacque è dovuto alla rivoluzione che Bill attuò nel gioco: ha rivoluzionato il ruolo del pivot, con uno strapotere difensivo che lo rendeva dominante anche grazie ai suoi 208 centimetri. Con lui, il gioco difensivo assunse un nuovo concetto, per una rivoluzione tecnica senza precedenti per quanto riguarda il ruolo. Con lui, il gioco difensivo fu letteralmente trasformato. E fu questo uno dei segreti che gli permisero di giocare 12 finali in carriera, di vincerne 11 e di portare a casa numeri fuori da ogni categoria per quanto riguarda i rimbalzi.

Il piano umano

Dal punto di vista umano, William Felton Russell (perché era questo, il suo vero nome, barattato per il più immediato Bill) ha dato tutto se stesso per la lotta al razzismo. In prima linea per il Movimento Americano dei diritti civili, fu attivista del Black Power e nel 2011 Barack Obama gli conferì la Presidential Medal of Freedom. Quando ha chiuso gli occhi in ospedale accanto a sua moglie, Jeannine, il mondo del basket ha perso un grande sportivo, il mondo intero ha perso un grande uomo.

in copertina Bill Russell con Red Auerbach (Keystone)

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