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Il cinema spagnolo ha trovato le sue nuove stelle. Non hanno ego, non si lamentano di ripetere le scene dozzine di volte, sono umili e hanno un senso dell’umorismo disarmante. Sono i campioni che Javier Fesser ha trovato per il suo nuovo film, “Non ci resta che vincere” che dal 6 dicembre 2018 arriverà nelle sale cinematografiche italiane. Finora non sono apparsi in nessun film, non sono nemmeno attori professionisti, ma la verità è che la capacità di trasmettere il messaggio che il regista voleva mandare non sarebbe riuscito a nessun attore professionista.

Un film sul basket con degli attori speciali

Il film racconta la storia di un allenatore di basket che, per ordine di un giudice, deve prendersi cura di una squadra di persone con disabilità intellettive. Ed è allora che Fesser ha dovuto prendere una decisione: assumere attori professionisti oppure scegliere persone che vivessero, ogni giorno, in prima persona tutte quelle esperienze? La cosa più semplice sarebbe stata la prima soluzione, ma il regista ha deciso di non prendere scorciatoie.

Marco Montes (interpretato da Javier Gutiérrez) è l’allenatore di una squadra di basket professionistico che viene condannato, dopo un incidente stradale in cui guida ubriaco, a svolgere un lavoro socialmente utile. E quel lavoro sarà quello di guidare una squadra formata da giocatori con disabilità intellettive. Nel momento in cui entra in contatto con queste persone, perde la pazienza, deve spiegare le cose in modo diverso, in un processo che è lento e complesso.

Ed è qualcosa di simile a ciò che hanno affrontato sul set attori e registi quando sono “entrati in contatto con il mondo emozionante delle persone con disabilità intellettuale – e continua dicendo – Ti fa tornare con i piedi per terra ogni minuto, e ti fa riconoscere la follia che circonda il nostro processo intellettuale. Ho iniziato il progetto con l’idea di dimostrare che siamo tutti uguali e, improvvisamente, la prima lezione: siamo tutti eccezionalmente e meravigliosamente diversi ed è in questa differenza che si trova l’attrattiva di ciascuno” ha affermato. Anche se la commedia ha attori come Javier Gutiérrez, vincitore del Goya come miglior attore, o Juan Margallo, il vero peso ricade su dieci attori inesperti che soffrono, sia nel film che nella realtà, di una sorta di diversità funzionale.

Non ci resta che vincere: combattere il disprezzo e l’ignoranza

Nonostante l’abituale olimpionismo di Fesser, “Non ci resta che vincere” mostra anche l’ignoranza e il disprezzo con cui molte persone trattano le persone con disabilità. Una scena in cui vediamo “la paura del diverso, l’ignoranza che ci fa difendere dall’attacco di ciò che consideriamo diverso“. “Devi conoscere le persone prima di etichettarle, e il cinema mi ha dato l’opportunità di mettermi nei panni di un altro, scoprendo con grande felicità che, in molte occasioni, lo straniero sono io e il vicino di casa sono io“.

L’ottimismo del regista è quasi contagioso e crede che, anche se molto resta da fare per la società, si siano fatti grandi progressi nell’inclusione delle persone “che prima erano nascoste“. Per questo ha realizzato questo film, che confessa di essere nato con quell’intenzione. Per quella squadra tecnico artistica che gli ha insegnato che non dice “anormale”, ma persone con disabilità intellettive.

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