Con la vittoria in gara-5 contro i Dallas Mavericks i Boston Celtics hanno conquistato il titolo numero 18 nella storia della franchigia, il che la dice lunga su quanto i verdi del Massachusetts siano abituati ad alzare trofei. Non è un caso che con l’anello appena messo al dito, i “Celtici” siano diventati la squadra con più titoli in bacheca, staccando i Los Angeles Lakers, altra franchigia icona del movimento cestistico a stelle e strisce.
Una franchigia storica, quella di Boston, che ha contribuito a rendere la Nba quel mito planetario che è adesso. Alzi la mano, senza mentire, chi non ha mai sentito parlare del mitico parquet intrecciato del Boston Garden, adesso TD Garden, un palasport che trasuda storia, leggenda e passione in ogni mattone del quale è composto, oppure dei tanti campioni passati da quelle latitudini.
Si potrebbe scrivere un libro sulla storia di questa squadra, che taluni ricordano soltanto per le epiche sfide negli anni ’80 con i Los Angeles Lakers, sublimate dal bellissimo libro “Show Time” di Jeff Pearlman, poi trasposto in una iconica serie TV vista, con ascolti superbi, anche in Italia. Quel periodo, sia pur affascinante perché metteva di fronte non solo due modi diversi di giocare, quello duro, a volte cattivo, dei Celtics a quello tutto champagne e bollicine dei Lakers, ma anche due diversi, per meglio dire opposti, modi di essere.
Quello fatto di tanto sudore, serio e quasi scontroso di Boston, e quello scanzonato e sorridente, ricco di glamour di Los Angeles e della sua parata di hollywoodiane star del cinema. Dicotomia rappresentata alla perfezione dal dualismo tra Larry Bird e Magic Johnson, due tra i migliori giocatori mai apparsi a miracolo mostrare sui parquet di tutto il mondo. Due che non potevano essere più diversi: uno nero l’altro bianco, uno serio l’altro sempre sorridente, tanto diversi quanto, nella loro diversità, ugualmente vincenti.
Diversi ma poi diventati, incredibilmente, amici, partendo da un pranzo offerto dalla madre di Larry Bird a Magic in occasione delle riprese per uno spot pubblicitario. Quel periodo è sicuramente quello più analizzato, sfaccettato, sminuzzato nella storia, meglio nell’epopea, dei Celtics, ma non è il solo ricco di successi, anzi.
Già, perché il primo titolo di Boston risale addirittura al 1957, quando l’arrivo di due matricole sensazionali come Bill Russell, numero uno del draft, scelto da Indiana, e arrivato a Boston grazie ad uno dei tanti scambi straordinari che hanno punteggiato la storia dei Celtics, e Tom Heinsohn, cambiarono la storia non solo della franchigia ma dell’intera NBA. Infatti, in quella stagione, arrivò il primo titolo per la franchigia del Massachusetts.
L’anno dopo, i bostoniani furono battuti in finale di Conference dagli Atlanta Hawks, sconfitti l’anno precedente, ma da quel momento in poi iniziò la “dinastia” biancoverde, con i Celtics che inanellarono una serie incredibile, ma vera, di successi consecutivi, con ben otto titoli inanellati uno dietro l’altro, una serie ancora imbattuta non solo nella NBA ma in tutto il panorama degli sport professionistici.
Tanto per capire, quando i Lakers, alla guida di Phil Jackson, all’inizio del nuovo millennio vinsero tre titoli di fila la loro impresa venne celebrata in tutto il mondo, ma il “Threepeat” rappresenta poco più di un terzo di quanto fatto anni prima dai Boston Celtics. L’architrave di quella squadra meravigliosa fu un lungo centro di colore, formidabile soprattutto in difesa, il longilineo Bill Russell. L’allenatore era il mitico Red Auerbach, icona, ieri, oggi e per sempre, del basket americano. Non a caso quando l’uomo dal sigaro sempre in bocca decise di passare alla carriera dirigenziale la lunga striscia vincente si interruppe, con la sconfitta con i 67ers nella finale di Conference.
Serie, peraltro, ripresa nei due anni successivi, con lo straordinario Bill Russell nel ruolo di allenatore giocatore. Un giocatore fantastico, Bill, non a caso stiamo parlando di un centro che arpionava 22,5, avete letto bene 22,5, rimbalzi a partita. Fu in quel periodo che nacque la rivalità con i Los Angeles Lakers guidati dal talentuosissimo Jerry West, sconfitti in ben cinque finali di fila.
Dopo il titolo del ’69, ecco l’inevitabile flessione, ma anche negli anni ’70, quelli prima dell’era Bird, Boston trovò il modo di vincere altri due titoli, nel 1974 e nel 1976, capo allenatore un’altra leggenda dei Celtics, quel Tom Heinsohn, protagonista della dinastia degli anni ’60. Nel ’74 il titolò arrivò in Gara-7, con il colpaccio a Milwaukee, contro i Bucks guidati da Kareem Abdul Jabbar, altro grande nemico-amico di Boston, due anni dopo ad arrendersi furono i Phoenix Suns, sconfitti in cinque partite.
Seguì l’epoca Bird, con l’ultimo titolo conquistato nel 1986, al termine della quale i Celtics dovettero aspettare 22 lunghi anni per tornare all’anello, conquistato nel 2008, indovinate battendo chi? I Lakers, of course. Un titolo che porta la firma di “Doc” Rivers in panchina e del trio di campionissimi Paul Pierce – Kevin Garnett – Ray Allen sul parquet.
Un titolo che però rimase gemma solitaria nel percorso della franchigia che dovrà aspettare altri 16 anni per conquistare un altro anello, quello portato a casa in Gara-5 contro Dallas, abbattuta dalla classe di Tatum e Jaylen Brown, non a caso nominato MVP delle “Finals”.
Quello conquistato pochi giorni fa davanti al pubblico amico, è il titolo più recente conquistato dai “Celtics”, scommettiamo che, vista l’abitudine alla vittoria in voga da quella parti, non sarà l’ultimo?