Leggi tutti i contenuti

Negli anni ’70 ed ’80 il basket italiano era, probabilmente, il più competitivo dell’intero Vecchio Continente, secondo soltanto alla mitica NBA; non è un caso che in quegli anni magici vestirono la canotta di squadre italiane autentiche star d’oltreoceano, sia pure planate in Italia sul crepuscolo della loro scintillante carriera.

Qualche nome? Il mitico “IcemanGeorge Gervin, a Roma, la freccia “Norm the StormNixon a Pesaro, Spencer Haywood addirittura in A2, a Venezia, Joe Barry Carroll, arrivato in Italia, con l’Olimpia Milano, e molti altri ancora.

L’idea

Nel suo “La nostra America”, Antonio Dipollina, giornalista di “La Repubblica”, li ripercorre con maestria, scegliendo un format inusuale, battezzando 21 personaggi che hanno fatto la storia del nostro basket. L’autore li analizza non soltanto con un identikit di ciascuno di loro, ma approfondisce il tutto con una lunga, bella e talvolta toccante intervista ai protagonisti di quell’epopea.

Nel caso di Aldo Giordani, storica voce della nostra Pallacanestro, con le sue telecronache il primo, vero divulgatore di questo meraviglioso sport parla il figlio Marco, attualmente dirigente Mediaset, ironia della sorta per il figlio di un’icona RAI come il padre.

I capitoli

Dipollina divide il libro in cinque capitoli, ciascuno dei quali legati da un filo conduttore, al quale si aggiunge quello finale, forse il più interessante; si intitola “storie di una bella storia” e miscela racconti di epici cestisti (“l’angelo biondo Riminucci”, “Il principe Rubini”), ad avvenimenti che hanno fatto la storia del basket come “il trionfo di Nantes”, quando la nazionale azzurra portò a casa l’Europeo, o a cambi di regolamenti che ne hanno stravolto l’essenza, ad esempio il tiro da tre punti, al quale è dedicato l’ultimo passaggio, “La linea che ha cambiato il mondo”.

I protagonisti

Ma, venendo al concreto, quali sono i 21 protagonisti tratteggiati ed intervistati dall’autore? Si parte, dopo l’interessante prefazione del Presidente FIP Gianni Petrucci, con i “Direttori d’orchestra”, rappresentati sia da due superbi playmaker (Ossola e Marzorati) che dagli allenatori più conosciuti di quel periodo, i grandi rivali Valerio Bianchini, scudettato a Roma, Pesaro e Cantù, e Dan Peterson, con le sue telecronache fenomenale divulgatore del basket, stavolta d’oltreoceano.

Trovano spazio poi altre icone della nostra pallacanestro, nella sezione “Grandi, in campo e fuori”, nella quale troviamo Mabel Bocchi, l’unica donna protagonista del libro, Ario Costa, Dino Meneghin e Renato Villalta. A seguire altri volti conosciutissimi del nostro movimento: D’Antoni, Jura, Gamba, Sacchetti, tra gli altri, e poi le due voci storiche del basket, non a casa denominati “I cantori del basket”, l’indimenticato Aldo Giordani e Sergio Tavčar.

Perché leggerlo

La lettura rappresenta una sorta di “ritorno al passato”, manco si salisse sulla mitica Delorean di “Ritorno al futuro”, facendo un viaggio a ritroso attraverso il percorso della nostra Pallacanestro, nel periodo aureo della nostra Pallacanestro. Le tante interviste danno all’opera quel “quid” in più; a taluni possono apparire noiose e ripetitive, ma sicuramente tratteggiano alla perfezione quel fantastico periodo con le parole di coloro che lo hanno vissuto da attori protagonisti, siano essi giocatori, allenatori i dirigenti.

Le parole di Marzorati, Bianchini, la Bocchi, Gilardi, il mitico Bob Morse e molti altri, fanno commuovere chi ha i capelli, se li ha ancora, bianchi ma sono fondamentali anche per i più giovani, facendo loro capire il basket di una volta, quello senza lustrini e paillettes, ma infinitamente più tecnico e godibile di quello di adesso, troppo spesso diventato una gara di tiro a segno. Anche in questo il mitico “Jordan”, al secolo Aldo Giordani, aveva anticipato tutto, quando ribattezzò “Kukkozia” la clamorosa esibizione offerta da Toni Kukoc con la maglia della Jugoslavia contro gli Stati Uniti ai Mondiali Juniores di Bormio del 1987.

I punti deboli

Abbracciando un periodo così ampio della nostra pallacanestro, ed analizzando sostanzialmente una ventina di personaggi, il libro tralascia, giocoforza, altri protagonisti importanti, per non dire fondamentali, nella storia della nostra palla a spicchi, a partire del mitico brasiliano Oscar Schmidt, in tutto il libro citato soltanto da Dan Peterson nella sua intervista, con 13.957 punti secondo miglior marcatore all time del nostro campionato, alle spalle di Antonello Riva, altro personaggio che avrebbe sicuramente meritato un approfondimento. Vero che, come dice l’autore nella sua introduzione, lo spartiacque temporale è dato dalla vittoria di Nantes nel 1983, altrettanto che due personaggi del genere avrebbero sicuramente meritato qualche pagina. Inoltre, ma è questione di gusti, c’è poco spazio per le cifre, elemento fondamentale in uno sport come il basket.

L’autore (dalla copertina del libro)

Antonio Dipollina, giornalista, critico televisivo a “la Repubblica”, si è sempre occupato di spettacolo, sport e delle ricadute socio-umane di entrambi. Pur avendo provato in tutti i modi, non è mai riuscito a sfuggire alla trappola della televisione e soprattutto all’obbligo di doverla guardare quotidianamente, in quantità sconsigliate a chiunque.

Fin da ragazzo, e ancora di più in età adulta, si è salvato decidendo che il piccolo schermo nobilita se stesso solo quando trasmette eventi sportivi (si esagera, ma il senso è quello). Il suo primo ricordo sono decine di domeniche anni ‘70 letteralmente salvate dalla diretta di una partita di basket al pomeriggio; da questo, soprattutto, nasce questo libro che è memoria tenera, ricordi importanti, viaggio nel tempo.

Qualunque cosa pur di non ammettere che si tratta di nostalgia irreparabile.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here