La nostra storia inizia più o meno così.

Dopo due allenamenti saltati, l’allenatore chiede all’amico più stretto di Pippo se ha notizie sulle sue assenze. Il ragazzo risponde in tono vago: “Non so, forse i compiti o impegni familiari…”. A quel punto l’allenatore decide di telefonare a casa.

Risponde la mamma che dopo aver detto all’allenatore che Pippo non ha particolari impegni, ma lo vede solo un po’ stanco, gli passa il figlio che, con grande stupore del coach, gli comunica la sua intenzione di non venire più in palestra!

Questo può essere l’inizio di una delle tante storie di abbandoni precoci nello sport!

Drop-out sportivo: gli abbandoni in adolescenza

Salvo casi particolari un ragazzo inizia a fare sport perché gli piace, ha un amico che già lo pratica o per  scelta di uno dei genitori (e talvolta ciò può creare qualche problema!). Il cammino inizia come gioco, poi si sviluppa in agonismo ed infine inizia la competizione.

La mia esperienza dice che il numero di abbandoni è più significativo tra i 15/17 anni. L’adolescenza ha come valore assoluto la ricerca della libertà e della autonomia. Si inizia a costruire un mondo proprio che si vuole affermare e difendere e spesso si vive la sensazione di non essere capiti. In questo meraviglioso, irripetibile e talvolta doloroso caos che è l’adolescenza in sintesi i ragazzi cercano di:

  • capire cosa sta avvenendo in un corpo che cambia forma
  • trovare la propria identità nel mondo
  • sviluppare rapporti amicali intensi e significativi
  • interagire con la scoperta e il confronto con l’altro sesso
  • modificare i rapporti con un mondo adulto che vedono spesso in competizione con il proprio
  • determinare quali sono le inclinazioni e le attitudini che muovono le loro passioni e che importanza rivestono nella loro vita

E lo sport è una attitudine che spesso diventa passione ed è proprio intorno ai 15/17 anni che l’adolescente comincia ad aver chiaro dove si posiziona e quale spazio riempie nella sua vita. Lavoro atletico, allenamenti, partite  diventano parte integrante della propria vita. E badate bene: non parlo di settori giovanili di primo livello, di campionati di “eccellenza”, ma dei tanti ragazzi che praticano basket in società medio-piccole.

E così la testa è spesso rivolta al momento in cui si chiude la borsa dopo averla riempita degli “attrezzi” per andare in palestra o a trovare il momento per andare da solo o in compagnia a fare “due tiri” al campino per imparare nuovi movimenti o per sfidarsi in partitine a metà campo dove il premio più ambito è sfottere l’amico avversario!

Si indossano le magliette dei campioni NBA, si passano ore a vedere le partite sul computer e tutto questo mondo sembra avvolgere e stravolgere il ragazzo perché vivere la propria passione a quell’età è un atto rivoluzionario, è un dare un significato a un futuro che sta iniziando!

Tra le difficoltà a scuola, le varie problematiche familiari, la ricerca di un proprio spazio interiore incerto e confuso, il momento con la squadra (con lo sport in genere) rappresenta forse il primo progetto di vita di un ragazzo, un progetto personale, indipendente e con il quale da solo deve misurarsi.

A un certo punto però diventa faticoso chiudere la cerniera della borsa , ci si ferma un attimo e ci si chiede ”ho davvero voglia di andare ad allenarmi?”

Abbandono dello sport in età adolescenziale: perché?

Cosa è successo?

  • Magari non si sente così bravo come i compagni
  • Gli allenamenti sono diventati faticosi e ripetitivi
  • I compiti a scuola sono troppo impegnativi
  • E’ poco il tempo a disposizione per uscire con gli amici
  • La famiglia lo vede stanco e lo incoraggia a dedicarsi solo allo studio
  • Il rapporto con l’allenatore è conflittuale.

Gli abbandoni ci sono sempre stati e continueranno ad esserci, ma il compito dello sport (allenatori in primis!) è quello di limitarli e, qualora non ci fosse soluzione, di far sì che il periodo dell’esperienza sportiva sia ricordato dall’atleta come un momento di formazione e di crescita personale che porterà per sempre nella sua vita futura.

L’adolescenza richiede pazienza, assenza di preconcetti e capacità di ascoltare linguaggi diversi senza giudicare! Il ragazzo taciturno, il ragazzo solare, il ragazzo maleducato, il ragazzo timido, il ragazzo presuntuoso. Quante tipologie, ma tutte con un unico aspetto determinante: appartengono ad una personalità in evoluzione e ancora non sappiamo dove vuole andare!

Drop-out sportivo: cosa deve fare un allenatore

E allora noi allenatori prendiamoci il tempo per ascoltare i nostri atleti, facciamo una seduta di tiro in meno e parliamo con Pippo di quale musica ascolta, quali materie ama, che libri legge, se va al cinema, cosa pensa del mondo che lo circonda, cosa intende per amicizia.

  • Non mentiamo con i ragazzi: se non è un grande giocatore proviamo a fare di lui un grande uomo.
  • Se ci sono pochi minuti per lui dobbiamo dirglielo, non metterlo in campo gli ultimi 20 secondi!
  • Se non si impegna, cerchiamo di capire perché e non consideriamolo uno svogliato a priori!
  • Se un ragazzo gioca a basket perché il suo maggior desiderio è stare in compagnia con i ragazzi e a volte non è troppo attento, non colpevolizziamolo più del dovuto, magari diventerà il leader dello spogliatoio pur giocando pochi minuti!

Agli allenatori che nell’età della formazione sono mentori per i propri atleti, chiedo di dedicare ascolto e interesse alle varie problematiche perché Pippo magari non diventerà un giocatore di valore assoluto, ma potrebbe continuare a giocare per divertimento per ancora molti anni facendo bene al suo corpo e alla sua mente, oppure diventare allenatore, arbitro,  dirigente sportivo e , in ultima analisi, e non è poco, un tifoso corretto e competente!

In conclusione per allenare gli adolescenti, oltre alle competenze tecniche, è necessario avere una grande curiosità di conoscere il loro mondo. Forse provare ad entrarci potrebbe portare a qualche  abbandono in meno!

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