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Quando, ancora molto giovane, frequentai il mio primo corso da allievo allenatore il mio insegnante era Gianfranco ”Cacco” Benvenuti, livornese sanguigno. Gianfranco è stato uno dei più grandi allenatori italiani e, tra le tante squadre da lui guidate, ricordiamo Libertas Livorno, Snaidero Udine, Viola Reggio Calabria, Nazionale femminile e dal 2012 entra nella Italia Basket Hall of Fame.
Le frasi che segnano
Molti sono gli insegnamenti che mi ha trasmesso e che ancora oggi porto con me. Tra questi una frase che non ho mai dimenticato: “Non ti aspettare riconoscenza dai giocatori che allenerai”.
Allora, questa frase mi sembrò molto forte e non veritiera. In realtà le sue parole, man mano che acquisivo esperienza e “mestiere”, le ho interpretate come un invito a fare attenzione a non sviluppare alcun tipo di attaccamento verso gli allievi che avrebbe potuto creare forme di dipendenza, che in età adolescenziale rischiano di frenare l’autonomia e lo sviluppo della propria capacità critica.
Non di rado capita, soprattutto per i giovani allenatori, di cercare una complicità con i propri allievi: si scherza, si sta insieme, a volte si cerca di essere disponibile oltre il necessario, si seguono i ragazzi in ogni loro attività, a volte anche extra sportive. Sia ben chiaro l’istruttore deve coinvolgere, entusiasmare, divertire, insegnare, ma dovrebbe riuscire a farlo senza mettersi mai in primo piano.
L’istruttore deve avere ben chiaro che il suo intervento più immediato e più efficace è dato da quello che i ragazzi acquisiscono dal suo esempio: il linguaggio usato, l’atteggiamento in panchina, i commenti nello spogliatoio, l’imparzialità nella forma comunicativa del giudizio sui singoli ragazzi.
Come favorire l’autonomia del giovane atleta
Nell’età dai 13 – 14 fino ai 17- 18 anni la figura dell’istruttore è decisiva per l’autonomia del giovane atleta. Come favorirla?
Alcuni spunti di riflessione.
- Per prima cosa ascoltare quello che il ragazzo dice e non dice, i suoi silenzi e i suoi entusiasmi, cercando di approfondire i suoi obiettivi, i suoi valori le sue aspirazioni mettendosi di lato, cercando di proporre il proprio punto di vista, ma seguendo i ritmi del ragazzo
- Utilizzare domande aperte che spingano l’atleta a capire che cosa realmente vuole dallo sport, come può ottenere determinati risultati e quali impegni deve assumersi
- Rendere il ragazzo consapevole delle proprie convinzioni e dei propri limiti, facendo emergere punti di forza e debolezze che gli appartengono
- Nei momenti di difficoltà ( incapacità ad imparare nuovi esercizi, sconfitte, senso di frustrazione generale) invitarlo a trovare nuove risorse dentro di sé facendo sentire il sostegno, ma favorendo la ricerca di idee e soluzioni alternative personali.
- Stabilire obiettivi, ovviamente diversi a seconda della fascia di età, da realizzare seguendo un percorso prestabilito senza false aspettative e con la capacità , da parte dell’istruttore, di affrontare i momenti di fatica identificando i possibili cambiamenti in corso d’opera, confrontandosi sempre con il pensiero del ragazzo
- Far crescere l’ autonomia e la responsabilità individuale valorizzando i risultati e analizzando gli insuccessi come momenti necessari per crescere come atleta a” tutto tondo” ricordando al ragazzo che lui “ non è l’errore che commette”
In ambito sportivo, il coach è un tramite che accompagna il giovane atleta ad iniziare ad assumersi le responsabilità delle proprie scelte. Ogni volta che se ne presenta l’occasione, usando le parole giuste, ricordiamo al ragazzo che nella sua carriera sportiva incontrerà allenatori con personalità e caratteri diversi, con i quali dovrà interagire mettendo in atto la propria capacità di adattamento attingendo alle competenze precedentemente acquisite.
Se alleniamo una squadra di adolescenti e l’anno dopo, per qualsiasi motivo, non ci siamo più e mezza squadra vuole cambiare Società o non accetta il nuovo allenatore forse abbiamo sbagliato qualcosa!
“Ti è mai capitato di passare inavvertitamente con un tosaerba su una corda?
Ci vuole un’ora, se non di più, per districare la corda e per liberare le lame perché possano girare di nuovo come prima.
L’attaccamento è così: impedisce il fluire della vita“. (Thich Nhat Hanh)
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